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Un nome, un'identità.





Come possiamo spiegare ad un bimbo il dramma di coloro che scappano dal loro paese? Come fargli capire che non sono nemici o invasori, ma semplicemente esseri umani come noi in fuga da una situazione al limite della sopravvivenza?

Non è facile riuscire a stimolare i bambini a mettersi in quella situazione, a provare empatia, a immedesimarsi in chi è più sfortunato di loro. Noi adulti abbiamo delle esperienze diverse e di solito vediamo queste situazioni con drammaticità. Proviamo a raccontare questa drammaticità ai bambini  senza il dramma, magari con l'aiuto del fantastico libro illustrato di Kate Milner che ho acquistato in libreria in occasione della giornata mondiale del rifugiato. 

Un bambino parla con la madre del viaggio che stanno per fare, degli addii e dei nuovi incontri, dei cibi nuovi che assaggeranno, dei posti insoliti dove dormiranno e delle parole che non capiranno. 

Faremo tanta strada, balleremo e giocheremo. 
Ci sarà da correre e camminare, camminare, camminare
e da aspettare, aspettare, aspettare
e poi ci rialzeremo
e ci rimetteremo in cammino...

Dovranno salutare gli amici e dire addio alla casa e alla famiglia. "Vedremo cose nuove e interessanti ma allo stesso tempo sarà faticoso, gli dice la mamma".


Ti chiameranno Rifugiato. 
Ma ricorda, il tuo nome non è Rifugiato.


Ognuno di noi è portatore di una storia, ha un proprio nome,  una sua identità, un sogno da realizzare: vivere! L'identità è l'insieme di tutte le caratteristiche che rendono qualcuno quello che è, sostanzialmente diverso dall'altro. Il concetto di identità abbraccia il modo con cui noi ci relazioniamo sia a noi stessi che agli altri.
Per poter avere un rapporto da essere umano a essere umano, sosteneva lo psichiatra Ronald Laing, è necessario possedere un senso solido della propria autonomia e della propria identità; se non è così, ogni rapporto minaccia l’individuo di perdita dell’identità.





#Libro e illustrazioni: "Il mio nome non è rifugiato" di Kate Milner 



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